Uno dei tag HTML più semplici tra quelli in circolazione è senza dubbio il tag rel=”nofollow”, che merita di essere conosciuto in maniera approfondita da parte di chi si dedica al posizionamento delle pagine web sui motori di ricerca. Come ben sanno tutti gli esperti del settore, non si tratta di una realtà nuova, nel senso che ormai sono passati quasi 3 lustri dal loro “esordio”.
Che cosa sono i link nofollow
Quando si parla di link nofollow si fa riferimento a hyperlink con un tag rel=”nofollow”. Questi collegamenti, in linea di massima, non condizionano il posizionamento sui motori di ricerca degli URL di destinazione, in quanto (in teoria) non vengono tracciati dagli spider di Google.
Per risalire alle origini del tag rel=”nofollow” è necessario tornare indietro fino al 2005, anno in cui Google decise di mettere alla prova questa soluzione con l’intento di contrastare i commenti spam: quelli con i quali i proprietari di siti web e blog intasavano i commenti di siti web e blog altrui per promuovere se stessi e la propria attività.
Il colosso di Mountain View aveva introdotto l’attributo rel=”nofollow” proprio per impedire che i link spam garantissero dei miglioramenti del ranking dei siti che venivano spammati. I siti su cui i commenti venivano pubblicati, invece, non risentivano in alcun modo di tale novità.
Non solo Google
Dopo che Google decise di proporre i link nofollow, la stessa strada era stata percorsa da Yahoo! e dagli altri motori di ricerca: vale la pena di sapere, per altro, che tra i diversi motori di ricerca ci possono essere lievi differenze per ciò che concerne l’interpretazione dei nofollow.
E oggi qual è la situazione? WordPress aggiunge il tag nofollow di default a tutti i commenti che contengono collegamenti, e lo stesso accade con quasi tutti gli altri CMS. Insomma, chi spamma su blog o siti altrui non dovrebbe trarre vantaggio in termini SEO da questa attività.
I link a pagamento
In teoria tutti i link a pagamento dovrebbero essere nofollow, anche perché Google classifica i collegamenti acquistati e venduti come violazioni delle linee guida per i webmaster.
Soprattutto dal 2013 Google si è preoccupato sempre di più degli effetti dei link a pagamento, modificando i propri algoritmi in proposito. L’intento di intercettare i link a pagamento è molto semplice: Google intende premiare i collegamenti ottenuti in maniera naturale, non quelli acquistati.
I link nofollow e la SEO
A questo punto, resta da capire quale sia il rapporto tra i link nofollow e il posizionamento delle pagine web sui motori di ricerca. Di certo, Google non trasferisce autorevolezza tramite questi collegamenti. Questa, però, è una regola generica, che può ammettere delle eccezioni: eccezioni che, tuttavia, il motore di ricerca non ha mai esplicitato. Insomma, gli esperti SEO stanno ancora cercando di capirne di più, e le loro opinioni su questo tema non sono sempre unanimi: c’è chi ritiene che i link nofollow abbiano comunque un effetto sui posizionamenti e chi, invece, pensa che ciò avvenga solo per alcuni collegamenti.
Le conseguenze indirette sulla SEO
Anche ammettendo che i link nofollow non abbiano un impatto diretto sulla SEO, questo non vuol dire che non vi possano essere delle conseguenze indirette, soprattutto per ciò che riguarda la diversificazione del link profile.
Inoltre, i backlink che provengono, ad esempio, dai social network, sono nofollow (si pensi ai collegamenti che provengono da Youtube, da Twitter, da Facebook, e così via), ma nonostante questo, è opinione di molti esperti SEO, che portino comunque dei benefici in termini di posizionamento organico.